«E' un progetto molto curato questo degli "ear", a partire dal titolo e dal packaging, un cartonato disegnato. Se il cantato vira spesso verso il pop, la struttura delle canzoni indie-folk, che si reggono sulle chitarre di Andrea Barlotti e Cristiano Sapori e sul violino di Eulalia Grillo, non è mai banale, al pari dell'architettura melodica che le completa. La differenza che fa di questi asfodeli dai colori tenui dei fiori non da sfoggiare e da sgualcire velocemente, ma da maneggiare con cautela e salvaguardare finché siano proliferati in una serra rigogliosa di petali e profumi è negli arrangiamenti, che annullano il rischio di perdere le radici new acoustic nella selva del pop appariscente e deperibile grazie a una cura paziente e rigorosa del sound, florilegio di chitarre, di violini e delle percussioni di Lucas Steppa, che si fanno palpito quasi tribale in "Uscire di qui". Non appaiono infatti nel disco le tipiche tastiere di riempimento all'italiana a deturpare l'armonia limpida del disco con un affollamento di suoni superflui, ma l'essenzialità del suono fa in modo che i momenti strumentali, anziché sfoggio, siano culmine di intensità che rafforza la poeticità dei testi Si ascoltino ad esempio le code strumentali della stessa "Uscire di qui", quella malinconica di "Senza mollica (herbamate)", o l'intensa "Portami con te, trascinare", dove le chitarre dell'outro si fanno tese come gonfiandosi, al suono del violino, di un sapore onirico stupefatto. Sensuale è il cantato di "Incontrastrato", tra sussurri e crescendo emozionali, che culminano nello splendido intervento vocale della forlivese Sara Piolanti (Caravane de Ville, The Cherry Pedro's Imenez) che ascoltiamo anche in "Hic et nunc (Capo mannu)". Nervosa e ironica è "Cose (la mia altalena)" con i Martinicca Boison, mentre accorate appaiono le strofe di "L'unico modo che ho di chiamarti", che qui e lì ricorda Moltheni. Con orchestrazioni musicali siffatte non si corre il pericolo di soffocare un'ispirazione delicata attraverso virtuosismi vuoti; la parola d'ordine del disco è infatti "misura". D'altra parte, importante è anche la stessa persistenza dell'appeal pop delle melodie vocali in questo "giardino di fiori che sbocciano" ("Senza mollica"): è questa ad evitare che le canzoni del trio di Faenza impallidiscano in un impianto sonoro elegante, che potrebbe però anche risultare tenue e smunto. Seconda parola d'ordine di questo album è quindi bilanciamento, in un equilibrio giocato su una sottilissima linea di confine tra indie-folk e pop che fa del disco un lavoro scorrevole e gradevole.»
Fonte: Mescalina.it
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